Vivi e lascia vivere… o vivi come me?

Ha fatto scalpore, a noi occidentali, la scoperta grezza di popolazioni nella foresta amazzonica che vivono completamente allo stato brado, probabilmente inconsapevoli (o almeno così crediamo) della civiltà che si schiude al di là delle fronde.

Il dilemma è: renderli partecipi, introdurli alla sacra, secolare cultura occidentale, da noi tanto decantata nonché motivo di fierezza, oppure lasciarli in quella che molti di noi etichetterebbero come perdita, come ignoranza?

Immagine correlata (foto da seraphim-marc-elie.it)

Basti pensare che pare scontato e sacrosanto, a noi benedetti dal progresso tecnologico, porsi una domanda del genere: altrettanto scontata ci parrebbe dunque la risposta, soprattutto rispetto a come viene posto il quesito.

La storia però ci insegna altro, la filosofia occidentale di cui tanto andiamo fieri – quasi più per tradizione – ci insegna altro.Ce lo raccontò Platone con il Mito della Caverna, ce lo spiegarono i sofisti con il relativismo dei costumi. Peccheremmo d’egocentrismo, ancora una volta, nel credere che la nostra cultura sia l’opzione migliore, imperdibile, la più benefica.

C’è sicuramente l’altra faccia della medaglia, quel che noi consideriamo perdita e lo è effettivamente: privi di elettricità, tecnologia, in un medioevo per quanto riguarda la tecnica e, forse, anche il modo di pensare. Eppure nessuno ci dice che introdurli forzosamente al nostro modus vivendi apporterebbe un reale contributo alla qualità della vita, discriminante che ha unico valore reale nella scelta di un regime, dell’adozione di un’abitudine.

Per quanto ci sembri che non si possa vivere meglio di così, siamo in fondo ben consapevoli che è una chimera quella dell’assoluta felicità portata dal progresso e per quanto io ne sia per certi versi un’accanita sostenitrice, pensare che non esistano in assoluto altre forme di felicità significa non esserne a conoscenza, od aver dimenticato cosa significhi sperimentarle.

Risultati immagini per tribu foresta amazzonica o civiltà?

(foto  repubblica.it)

Non è detto che venire a contatto con il nostro modo di vivere costituisca per loro un reale arricchimento, nè soprattutto che ne nutrano il desiderio e trovo egoista in primis porci come detentori del destino di un popolo, come se possedessimo il Santo Graal dell’universale scibile e dovessimo decidere se condividerlo o meno con altri.

Molti popoli sono fortemente legati alle tradizioni più arcaiche che noi oramai rinneghiamo, e sebbene io personalmente le percepisca come qualcosa di negativo, è difficile rimettere una sentenza al mio soggettivo giudizio. Come soggettivo sarebbe, poi, quello di chiunque. Penso dunque costituirebbe per loro uno sbalzo temporale di centinaia d’anni il contatto improvviso con una civiltà come la nostra.

Il quesito rimane: plasmarli, introdurli per lo meno alla nostra cultura o meno?

Non vi è una risposta giusta né una sbagliata. Propendo per il no, non trovando necessario che tutte le altre civiltà si adattino od uniformino al modo di vedere le cose proprio dell’occidente, o che questo venga necessariamente percepito come salvifico; vi si potrebbe dibattere all’infinito, poi, in quanto siamo noi stessi ad ostracizzare il Medioevo ed attribuirgli etichetta negativa. Ora come ora trovo più importante preservare uno stralcio di civiltà opposta alla nostra perché, se sopravvissuta fino ad oggi, statisticamente funziona; non c’è dunque esigenza che quest’esasperata corsa all’infinito sapere e possedere li travolga.

Come disse qualcuno di ben più noto di me, d’altronde: senza una certa dose d’incoscienza, non c’è felicità.

E potrebbe esserne proprio questo l’esempio.

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