Smartphone SI’ o smartphone NO? Smartphone NI’.

Cyberbullismo, la proposta di Crepet: «Cellulari vietati in gita scolastica». «Ho assistito a una scena del genere: c’era una comitiva di studenti delle medie in gita a Venezia: erano talmente assorti a controllare il cellulare che il prof si era preso il compito di avvertire della presenza di ostacoli. “Scalino”, “buca”, e così via… ma come ci siamo ridotti?»

Crepet ci descrive uno scenario innegabilmente ai confini dell’agghiacciante.

La domanda che più preme, però, è: può essere l’ostracismo al telefono – come mezzo di comunicazione – una reale soluzione? Personalmente, non credo.

Penso che ben poche cose possano definirsi negative per la loro natura intrinseca e lo smartphone non è assolutamente tra queste. Pensandoci, è un’invenzione fenomenale: poter comunicare coprendo lunghe distanze, o ancora essere in grado di accedere all’informazione in qualsiasi momento (il che dovrebbe, fondamentalmente, renderci più consapevoli su svariati fronti).

Come per ogni cosa c’è, poi, il lato negativo: ma qui sta a noi riconoscerlo e capire come arginare le conseguenze negative del possesso di uno smartphone.

Parlando anche per personale esperienza, penso che la “rivolta dei genitori” così come Crepet la definisce, conseguente alla sua provocazione, sia dovuta alla loro abitudine ad averci sotto controllo in qualsiasi momento. O per lo meno a portare avanti questo falso mito, dal momento che poi – effettivamente – molti figli sfuggono ai genitori più di quanto essi credano e non sarà un telefono cellulare ad evitare pericoli, cattive compagnie o sbandamenti.

Ma non è soltanto un problema dei genitori.

Noi siamo cresciuti negli anni zero, siamo in assoluto la generazione che più delle altre, è stata vicina alla tecnologia.

Noi stessi, ad esempio, se dovessimo perdere il nostro gruppo classe, senza telefono non sapremmo a cosa fare riferimento: ci sentiamo persi anche solo a non poter fare una telefonata o a finire i giga per poter accedere ad internet. Se poi sia una questione di reale necessità o d’abitudine, non è semplice da stabilire: per quanto i nostri genitori vivessero anche senza, non è facile determinare quanto la qualità della loro vita fosse effettivamente migliore.

E bisogna anche tenere in considerazione un cambio della società più in generale.

I nostri genitori, ad esempio, ripetono spesso quanto una quarantina d’anni fa fosse più sicuro andare in giro da soli sin da piccoli e quanto la gente fosse più prontamente disposta ad offrire aiuto in caso di bisogno.

In conclusione, la prospettiva di una vita senza cellulare oggigiorno pare molto remota ed incontrerebbe delle reali difficoltà, se mai dovesse esser messa in pratica.

Il reale problema non è la presenza degli smartphone, quanto la mancanza di comunicazione: pare che il loro ruolo sia, sempre di più, quello di sopperire ad una vera e propria comunicazione costituita di contatti, sguardi e priva di filtri. Quanti messaggi su WhatsApp vengono fraintesi, a discapito di una conversazione faccia a faccia?

E non solo. Difatti si sente anche – e fortemente – la mancanza di una comunicazione con i genitori.

Loro in primo luogo dovrebbero insegnare ai figli tempi, luoghi e circostanze in cui usare il telefono. Dovrebbero evitare di investirlo del ruolo di passatempo assoluto, introducendoli anche ad altre attività.

Oltretutto dedicare tutto il tempo ai social spinge sempre più – e soprattutto – i giovani a ritrovarsi intrappolati nella spirale del “farsi vedere”: la maggior parte delle cose vengono fatte perché si possa mostrare a tutti di averle fatte, per ricevere approvazione ed acclamazione.

E qui nasce il lato mostruoso dell’emulazione o della speculare emarginazione, in caso si rifiuti la prima. Un meccanismo dell’apparire che sfiora il patologico, nel momento in cui si deve ottenere ad ogni costo l’approvazione altrui – anche a discapito di terzi – come ci dice Crepet riferendosi al dilagante fenomeno del cyberbullismo.

Questo fa perder molto di noi stessi, questo smanioso desiderio d’essere accettati, di classificare.

I divieti categorici non spiegherebbero ai ragazzi la natura di un problema ben radicato per cui ribadisco, ancora una volta, l’importanza di una sana comunicazione che parta dalle famiglie e che, insegnataci, ci renda più propensi al confronto senza filtri e ad agire per puro piacere, non per istinto di dover dimostrare qualcosa agli altri.

 

Francesca Gaia Esposito – Liceo Classico Dante Alighieri

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